Domenica 2 Aprile, Alberto Clò, professore di
economia politica presso l’università di
Bologna, invita alcuni amici e colleghi
dell’ateneo a passare una giornata in campagna
nella sua casa di Zappolino vicino Bologna.
Malgrado si sia ormai in primavera non è
fortunato e quella che sarebbe dovuta essere
una giornata all’aria aperta, a causa del
maltempo, si trasforma in un pomeriggio in
casa. Per cercare di mitigare la noia, propone
ai suoi ospiti il gioco del piattino.
E’ lo stesso Clò che
racconta quel pomeriggio alla prima
commissione Moro il 10 giugno 1981:
«... mangiammo, poi,
nel pomeriggio venne brutto tempo e ci
trovammo in una stanza in 17, 12 adulti e
5e bambini di eta compresa fra un anno
e cinque.
A quel punto io, che avevo ospitato le
persone, cercai di fare qualcosa: chi si
era appisolato, chi giocava coi bambini e
venne l'idea malaugurata, per le
conseguenze che ne sono venute, di fare il
gioco del piattino perché se ne parlava in
quel periodo. Il tutto nel senso di
curiosità. Devo mettere in risalto il
fatto che nessuno di noi, nemmeno io che
l'avevo proposto, era pratico di queste
cose oppure vi assegnava particolare
rilevanza era soltanto un modo per
riempire il tempo. In quel periodo i
giornali parlavano di queste cose, si
parlava del parapsicologo olandese che era
venuto in Italia; quindi cominciammo verso
le tre e mezzo, le quattro del pomeriggio,
continuamente interrompendoci sia perché i
bambini giocavano, sia perché qualcuno
andava a prendere da bere; insomma, la
cosa non era fatta con quella continuità o
tensione che si può immaginare sia fatta
in una seduta spiritica: il nostro,
ripeto, era soltanto un gioco.
Vennero fuori delle indicazioni, alcune
prive assolutamente di senso, altre con
senso compiuto, anche se queste non
furono logicamente connesse; insomma
vennero fuori indicazioni di tipo
geografico come Viterbo, che venne in
maniera chiara; voi sapete che il piattino
si muove su una carta su cui sono segnate
le lettere e nei punti in cui appare che
il piattino si fermi, più o meno a lungo,
si prende nota della lettera. Alcune
indicazioni, quindi, avevano un senso
compiuto, altre assolutamente no; oltre le
indicazioni tipo Viterbo o Bolsena, note,
venne fuori anche questa espressione,
Gradoli, a tutti ignota, sia come entità
geografica, sia per qualsiasi altro
significato.
Per quanto riguarda
la successione delle domande precise, devo
dire che le domande che si facevano erano
di carattere generico; il riferimento era
soprattutto a località geografiche perchè,
allora, l'attenzione della stampa e
dell'opinione pubblica verteva soprattutto
su quale potesse essere il posto.
Mi sembra che la
prima indicazione fosse relativamente a
Viterbo. Posso anche sbagliare, ma mi
sembra che la successione sia stata
questa: Viterbo e poi Bolsena. L'ultima mi
pare che sia stata Gradoli, anche se non e
che vennero proprio una dietro l'altra.
(…)
Quando è finito il
gioco, mentre stavamo andando via, abbiamo
trovato una cartina geografica; l'abbiamo
aperta, con la curiosità di vedere se quel
nome esisteva davvero. (…) e lo stupore
derivò dal fatto di trovare nei pressi del
Viterbese un paese di nome Gradoli.
Gradoli era un termine a tutti noi
totalmente ignoto. Nessuno di noi sapeva
che cosa poteva significare. Poteva essere
un soprannome di una persona, o qualunque
altra cosa.» CM1
vol VIII pag. 306 e segg.
La
villa di Alberto Clò in via Provvidenza a
Zappolino (Bo). Foto dal sito Senza
Uscita. Geografia del Caso Moro II parte
Come dice Clò, 12 sono le
persone presenti nella casa di Zappolino. Lo
stesso Clò, la sua compagna, il fratello Carlo
e la moglie. Ci sono poi Mario Baldassarri,
Francesco Bernardi, con le rispettive signore,
e Fabio Gobbo tutti e tre colleghi di Clò. E’
presente anche una ragazza, Emila Fanciulli,
parente dei padroni di casa. A completare il
gruppo c’è Romano Prodi con la moglie Flavia.
Anche Prodi è professore nell’ateneo felsineo,
Il futuro Presidente del
Consiglio è tra quelli che rimane più
impressionato dal nome Gradoli. Sempre nella
seduta del 10 giugno 1981, in cui la prima
commissione Moro ascolta tutti i partecipanti
alla “seduta spiritica”, Prodi racconta:
«Uscirono Bolsena,
Viterbo e Gradoli. Naturalmente, nessuno
ci ha badato; poi, in un atlante, abbiamo
visto che esiste il paese di Gradoli.
Abbiamo chiesto se qualcuno ne sapeva
qualcosa e, visto che nessuno sapeva
niente, ho ritenuto mio dovere, anche a
costo di sembrare ridicolo, come mi sento
in questo momento, di riferire la cosa. Se
non vi fosse stato quel nome sulla carta
geografica, oppure se fosse stato Mantova
o New York, nessuno avrebbe riferito. Il
fatto è che il nome era sconosciuto, ed
allora ho riferito immediatamente.(…) un
nome che nessuno conosceva! Anche se ci
siamo trovati in questa situazione
ridicola, noi siamo esseri ragionevoli. Ci
siamo chiesti tutti: Gradoli nessuno di
voi sa che ci sia? Se soltanto qualcuno
avesse detto di conoscere Gradoli, io mi
sarei guardato bene dal dirlo. E apparso
un nome che nessuno conosceva, allora per
ragionevolezza ho pensato di dirlo.» CM1 vol. VIII pag.295
Il giorno successivo alla "seduta spiritica" Clò e
Prodi sono in facoltà a Bologna e, in attesa
che si riunisca il consiglio di facoltà,
parlano del risultato di “quella strana
seduta” citando il nome Gradoli. Tra gli
ascoltatori c’è il prof. Augusto Balloni, che
essendo consulente della Questura, riferisce
la circostanza al magistrato bolognese
Jovine. La sua segnalazione non avrà seguito.
Il 4 Aprile, Prodi è a
Roma per un convegno e contatta Umberto Cavina
dell’ufficio stampa della DC. Si incontrano
nei pressi della sede della Democrazia
Cristiana in Piazza del Gesù. E Prodi racconta
ciò che è successo la domenica pomeriggio.
«Quando l'ho detto a
Cavina», è ancora Prodi che parla, «mi
e stato detto che vi era una pioggia di
notizie da tutto il Paese.»
Umberto Cavina, dal canto
suo, nel verbale del 21 dicembre 1978 conferma
la ricostruzione di Prodi
«… la notizia
concernente la località Gradoli, mi fu
fornita dal prof. Romano Prodi… . il prof.
Prodi mi incontro nei pressi dell'ingresso
della sede in piazza del Gesù. Preciso che
egli era venuto appositamente per
riferirmi la notizia. Manifestò un certo
imbarazzo nel riferirmela, perche la
notizia stessa, come mi disse, era il
risultato di una seduta spiritica tenuta a
Bologna e alla quale seduta avevano
partecipato alcuni professori.
Io passavo tutte le notizie al Ministero
degli Interni a prescindere da qualsiasi
valutazione sulla loro attendibilità e
provenienza. Ricordo in particolare che
per telefono comunicai al dott. Zanda del
gabinetto dell’allora Ministro Cossiga, la
notizia concernente una casa in località
Gradoli in provincia di Viterbo.» CM1
Vol.110 pag.143
Cavina in realtà fa due
segnalazioni: la prima relativa ad un
indirizzo di Milano la seconda è quella di
Gradoli. aggiungendo, secondo Zanda:
«... che
probabilmente erano notizie inattendibili,
inutili alle indagini ma per scrupolo riteneva
suo compito passarmele perché le inoltrassi
alla polizia.» Verbale
di L. Zanda, CM1, vol. 110, pag. 145
Cosa che il capo gabinetto di Cossiga fa. Il 5
Aprile invia un biglietto al Capo della Polizia
Giuseppe Parlato
Nel biglietto, insieme
alla segnalazione di Casa Govoni, riguardo
Gradoli è scritto:
“Lungo la statale 74
nel piccolo tratto in provincia di
Viterbo, in località GRADOLI, casa isolata
con cantina.”
Il il
Biglietto scritto da Zanda e fatto recapitare
al Capo della Polizia Giuseppe Parlato. Nella
parte destra è l'appunto di Parlato sull'esito
dell'operazione: "ore 10 del
6-4-78. Intervento del questore di Viterbo
che alle ore 13 ha comunicato che il
sopralluogo ha dato esito negativo"
Ricevuto il biglietto Parlato, passa
l’informazione alla Questura di Viterbo. Il 6
Aprile viene effettuata “la battuta” al
termine della quale il Vice Questore Fabrizio
Arelli redige il verbale:
In relazione
all’appunto verbalmente comunicatomi e
relativo al controllo di non meglio
indicata casa isolata con cantina in
territorio del comune di Gradoli è stato
oggi effettuato dalle ore 11,30 un
accurato rastrellamento nella zona
indicata ivi ispezionando varie case
coloniche in stato di apparente abbandono
con le relative dipendenze, nonché grotte
e ripari naturali.
Non e stato riscontrato alcun elemento
sospetto.
Alla battuta hanno preso parte, agli
ordini dello scrivente, personale
dell’Ucigos con un altro funzionario, il
Tenente dei Carabinieri comandante la
Tenenza di Tuscania e complessivamente n.
22 militari tra Guardie di P.S. e
Carabinieri. CM1
vol.100, pag. 150
La segnalazione e il
successivo controllo finisce così tra le
centinaia di segnalazioni che giungono ogni
giorno alle forze dell'ordine e che risultano
inattendibili.
Tutto cambia il 18 aprile
quando, a causa di una perdita d'acqua, viene
scoperta la base delle Br di via Gradoli 96.
In Questura ci si ricorda di due circostanze
in cui ritorna il nome Gradoli. La prima è la
perquisizione avvenuta il 18 marzo in via
Gradoli 96 (vedi La prima perquisizione) la
seconda è la perlustrazione svolta nelle
vicinanze di Gradoli, un paesino del
viterbese.
I due fatti incominciano a
circolare negli ambienti giornalistici e la
notizia, dell'operazione Gradoli appare sulla
stampa.
L’Unità il 22 aprile
scrive:
Tornando al «covo»
di via Gradoli, da più parti e stata
notata una singolare coincidenza. Un paio
di settimane fa – precisamente il 6 aprile
scorso – la polizia aveva compiuto
numerose perquisizioni nella zona di
Gradoli, un paese del Viterbese. Erano
stati ispezionati casolari, grotte,
cantine, anche abitazioni, ma senza
risultati.
Il Messaggero il giorno
successivo aggiunge particolari:
L’operazione era
stata condotta nottetempo: gli agenti
avevano perlustrato un’area di quattro
chilometri quadrati, spingendosi dalla
località «Cantoniera di Latera» fino a un
gruppo di casali isolati, a poca distanza
dal paese.
La cosa però non suscita
clamore, l'opinione pubblica è impegnata a
seguire con il fiato sospeso la sorte del
presidente della DC Aldo Moro.
La stessa Magistratura si
interessa alla storia della segnalazione
relativa a Gradoli solo nel dicembre del 1978,
quando il giudice Francesco Amato interroga
Prodi, Clò, Cavina e Zanda
La storia della seduta
spiritica, però, diventa "famosa "soltanto nel
1981 quando la prima Commissione di inchiesta
parlamentare sul caso Moro decide di indagare
sulla vicenda.
Il presidente della
Commissione: Dante Schietroma, invia delle
lettere ai protagonisti chiedendo di fornire
la loro versione dei fatti.
La risposta arriva
attraverso una lettera "collettiva" firmata da
tutti i partecipanti alla seduta
spiritica che ricostruisce i fatti del 2
aprile.
La
lettera "collettiva" scritta dai partecipanti
alla "seduta spiritica" inviata al Presidente
della 1° Commissione Moro, Schietroma.
Successivamente, come
visto Prodi e gli altri saranno sentiti dalla
Commissione senza aggiungere nuovi particolari.
Le vicende legate a via Gradoli, ed in
particolare la strana seduta spiritica di
Zappolino resta uno dei punti più controversi
del rapimento Moro.
Molte sono le
contestazioni avanzate nel corso degli anni.
La prima riguarda
l'esistenza stessa della riunione del 2 Aprile
1978.
La “seduta spiritica” si
svolse veramente o fu solo un espediente
inventato per comunicare, senza bruciare la
fonte, un’informazione?
Se si ammette l’avvenuto
svolgimento del gioco con il piattino, e si
esclude l'effettiva collaborazione di qualche
spiritello, le risposte alla rivelazione del
nome Gradoli non possono che essere due.
Gradoli è solo un nome
venuto fuori da un innocente gioco di società
e solo per coincidenza è uguale alla via del
covo brigatista. Del resto la domanda posta
agli spiriti riguardava il luogo dove era Moro
e sappiamo che il presidente della DC non
entrò mai nell'appartamento di via Gradoli
La seconda ipotesi
riguarda la possibilità che uno dei
partecipanti, a conoscenza di notizie, abbia
volutamente, all’insaputa degli
altri,indirizzato il piattino verso il nome
Gradoli per rendere pubblica la notizia.
In merito
all'interrogativo posto dai membri della
Commissione Moro, Prodi risponde così:
BOSCO.
All’interrogativo che si è posto, come ha
risposto? Cioè se qualcuno poteva aver
ispirato gli spiriti.
ROMANO PRODI. Lo escluderei assolutamente.
BOSCO. Quindi si è trattato di spiriti.
ROMANO PRODI. O del caso... Non so... Mi
sembra che il senso della domanda
dell'onorevole Covatta sia quello di
chiedere se c’era qualcuno che voleva fare
«il furbètto», spingendo in un certo modo
o rallentando. Questo no. (...) Crede che
quando è uscito il nome di via Gradoli io
non mi sia posto il problema di chiedermi
se c’era qualcuno che faceva il furbo?
Quindi, secondo questa
ipotesi, uno dei presenti alla seduta sarebbe
venuto a conoscenza di notizie riguardanti il
sequestro. Si è molto parlato di eventuali
contatti con ambienti dell’autonomia
bolognese, ma in merito non ci fu mai alcuna
conferma.
C'è poi la differenza tra quanto riferito dai
partecipanti alla seduta è ciò che è scritto
sul biglietto inviato da Zanda a Parlato.
Bisogna notare, che nelle
varie testimonianze dei partecipanti alla
seduta spiritica, non c’è alcun cenno né alla
statale 74 né alla casa isolata con cantina
riportati nel biglietto di Zanda.
Il particolare fu riferito
dai partecipanti alla seduta o fu aggiunto
successivamente da Cavina o Zanda?
Zanda ascoltato nel primo
processo Moro afferma:
«Queste sono
esattamente le parole che mi furono dette.
Immagino che volesse indicare il comune di
Gradoli. Casa isolata con cantina queste
furono le indicazioni fornite da Cavina»».
Prodi, invece,
interrogato dalla stessa Commissione non
ricorda esattamente quello che disse a Cavina:
«Ne sono
venute fuori diecimila di queste cose e
venuto fuori “cantina” e “acqua” In
questo momento non lo ricordo nemmeno,
il gioco e andato avanti per ore».
Il particolare della specifica sul biglietto
è tutt'altro che trascurabile. Sono proprio le
indicazioni aggiunte che indirizzano la
ricerca, non verso il paese di Gradoli ma
verso case coloniche in stato di
apparente abbandono.
L'ultimo interrogativo riguarda il mancato
collegamento tra l'indicazione Gradoli e via
Gradoli a Roma. A questo interrogativo si può
rispondere, crediamo, in maniera abbastanza
logica.
Durante la seduta
spiritica, come affermano i partecipanti, il
nome Gradoli non è isolato ma inserito in un
preciso contesto geografico. Si citano
Viterbo, Bolsena ed infine Gradoli. La zona è
ben delineata tanto che non si ha difficoltà a
trovare il paese su un atlante.
E' chiaro che le
ricerche, avvalorate dal numero della statale
e il riferimento alle case coloniche, si
indirizzino nel viterbese.
Perché, però, avendo avuto
esito negativo la prima ricerca non si sono
cercati nuovi possibili riscontri?
A tale proposito bisogna
rilevare che il nome Gradoli non è frutto ne
di indagini ne di confidenze di eventuali
informatori.
Come ci viene detto, è citata, come il
risultato di una ipotetica seduta spiritica,
da un imbarazzato professore universitario che
precisa di riferirla per puro scrupolo.
Cavina, secondo Zanda, nel comunicargli
l'informazione aggiunge «che probabilmente
erano notizie inattendibili, inutili alle
indagini ma per scrupolo riteneva suo
compito passarmele.»
E anche Zanda tiene a
precisare che passava alla polizia tutte le
segnalazioni che riceveva indipendentemente
dalla loro attendibilità
Insomma alla segnalazione
non crede nessuno! Probabilmente se, invece
che da un illustre professore universitario,
fosse arrivata da un normale cittadino non ci
sarebbe stato nessun accertamento.
Quindi, a noi pare,
plausibile che, una volta "toltosi lo
scrupolo" con la perquisizione nella zona
indicata, non si siano effettuati altri
riscontri.
Infine bisogna citare le
testimonianze di Tina Anselmi ed Eleonora
Moro.
Anselmi rispondendo alla richiesta della
Commissione Moro afferma:
Sulla seduta
parapsicologica tenutasi a Bologna, mi
riferì il dottor Umberto Cavina, allora
collaboratore del on. Zaccagnini, che ne
era stato informato dal Prof. Romano
Prodi, presente alla seduta. L'indicazione
del messaggio era Gradoli , via Cassia,
Viterbo. Seguivano due numeri, che ora non
ricordo con precisione, ma che poi
risultarono corrispondere sia alla
distanza fra Gradoli paese e Viterbo, sia
al numero civico e all'interno di Via
Gradoli dove fu scoperto il covo. CM1
vol 110, pag. 82
Il racconto dell'Alselmi,
alquanto generico non ha avuto nessun
riscontro.
Romano Prodi rispondendo
in merito alla Commissione Moro ha detto:
SCIASCIA. La signora
Anselmi dice che seguirono dei numeri che
poi risultarono corrispondere sia alla
distanza di Gradoli paese da Viterbo sia
al numero civico e all'interno di via
Gradoli.
ROMANO PRODI. Questo proprio non mi
sembra... c'era sul giornale...
SCIASCIA. La signora dice di aver sentito
questo dal dottor Cavina.
ROMANO PRODI. Onestamente io non... Non
avrei difficoltà a dirlo. CM1,
vol 8, pag.301
La vedova Moro, Eleonora
Chiavarelli durante la sua testimonianza al
primo processo Moro affermò:
«Due o tre giorni
dopo il rapimento vennero a casa mia delle
persone, e per la prima volta venne fuori
la parola «Gradoli», che era stata
pronunciata in una seduta spiritica.
Riferii la cosa all’on. Cossiga e ad un
funzionario che credo fosse il capo, il
responsabile delle indagini, ma non
ricordo come si chiamasse. Chiesi loro se
erano sicuri che a Roma non esistesse una
via Gradoli e perché avessero pensato
subito, invece, al paese Gradoli. Mi
risposero che una tale via non c’era sulle
‘Pagine gialle’ della città.» Testimonianza
di Eleonora Chiavarelli del 19/07/1985
in CM1 vol. 77 pag 55
Bisogna rilevare che
la testimonianza risulta confusa. Si colloca
infatti la seduta spiritica solo due tre
giorni dopo il rapimento mentre la seduta
avvenne soltanto il 2 Aprile.
Anche in questo caso
non ci furono altre conferme alla
dichiarazione della vedova Moro; Cossiga e
il Capo della Polizia, Parlato,
probabilmente "il responsabile delle
indagini", smentirono
categoricamente le sue affermazioni.